Lutero, o il primato di un soggetto autocentrico

Pubblicato su Tempi nel luglio 1998.

1. il suo baricentro non è l'oggettività

Abbiamo visto l'ultima volta come la Riforma protestante fosse in qualche modo un adattamento del Cristianesimo alle mutate esigenze dei "nuovi tempi", ossia all'individualismo, all'iniziale statalismo e alla crescente divisione tra sacro e profano. In generale quindi si può dire che se le nuove idee attecchirono, non fu solo e tanto perché venissero viste come reazione agli errori e alle deficienze della Chiesa cattolica, che pure non mancavano (basti pensare ai Papi che immediatamente precedettero Lutero, troppo "mondani"), quanto piuttosto perché a una parte importante dei gruppi in ascesa nella nuova epoca il cattolicesimo, con le sue istanze di comunionalità, di autorità, e ,in una parola, di dipendenza dall'oggettivo, cominciava a stare davvero troppo stretto.

Quello che abbiamo visto vero per quella parte di Europa che accolse il nuovo verbo luterano, è possibile dirlo dello stesso Lutero. In effetti spesso è stata accreditata l'idea che quella di Lutero sia stata una reazione di indignazione di fronte agli scandali di cui la Chiesa cattolica dava mostra; in particolare si ricorda come la vendita delle indulgenze abbia funto da detonatore per lo sdegno del Riformatore, che vi avrebbe visto la prova definitiva dell'irreversibile allontanamento del cattolicesimo dalle origini cristiane. Certo tale fattore non è assente, ma non è nemmeno la molla segreta e profonda che spinge l'inquieto monaco di Wittemberg a rompere con Roma.

Non è partendo da fuori, dalla constatazione di qualcosa di esterno e oggettivo che prende le mosse la Riforma. È dentro di lui, nella sua interiorità, nella sua soggettività, una soggettività che senza offesa si può definire testarda e autocentrica, che si gioca l'essenziale della partita. È dentro di lui che si compie il dramma che poi sboccherà nella scelta di sfidare il Papato, lacerando rovinosamente e profondamente la Cristianità occidentale. Questa è una tesi, che pur poco sostenuta a livello scolastico e divulgativo, è autorevolmente sostenuta da insigni storici della Riforma come il Lortz e lo Jedin.

In effetti lo possiamo constatare da diversi indizi: Lutero ad esempio nella sua visita a Roma nel 1510 non si mostra affatto scandalizzato per ciò che vi vede, ossia una città in grande fervore artistico e culturale con il Papa (che vi chiamava i più grandi pittori e architetti del tempo) più impegnato in preoccupazioni mondane che in una seria attività pastorale. Nelle sue lettere e nel suo diario non una sola parola di biasimo per il Papa e la Curia. Egli, più attento ai suoi moti interiori che a ciò che vedeva intorno a sé, è invece entusiasta di trovarsi a Roma, entusiasta "come un santo pazzo" (secondo le sue stesse parole). Ancora, che non fosse tanto ciò che egli constatava oggettivamente a muoverlo, lo vediamo da una analisi delle sue tesi sulle indulgenze, che comunemente viene vista come il manifesto della rottura con il Papato. In realtà il senso di tali tesi è ancora interpretabile in qualche modo come cattolico: Lutero, nel denunciare l'abuso delle indulgenze, che venivano proposte come sicuramente accordate ai propri defunti per il solo fatto di pagare ai predicatori, può ancora essere letto come cattolico. Non è lì il punto di non ritorno. Ma potremmo infine trovare la conferma diretta di quanto straripante fosse in Lutero il primato della soggettività da un insieme di episodi della vita e aspetti del temperamento del Riformatore, come il suo linguaggio, spesso sboccato e triviale, e il suo affidarsi nelle scelte decisive, più che alla ragione (da lui bollata come la "puttana del diavolo") a una intuitività pronta e scaltrita, abilissima nel cogliere l'occasione più propizia, ma pur sempre limitata appunto a un particolare (si possono vedere in proposito le profonde osservazioni di Maritain in Tre riformatori). Senza contare che, com'è noto, Lutero stesso teorizzò esplicitamente che nel caso di conflitto tra la propria coscienza e l'autorità della Chiesa bisogna indubbiamente preferire la prima.

2. la soggettività come baricentro

Proprio in questa affermazione della coscienza soggettiva, del soggetto come orizzonte intrascendibile, sta la radice del protestantesimo. Vediamo perché. Che in qualche modo l'oggettività della proposta di Cristo debba essere paragonata con le esigenze (conoscitive e affettive) del soggetto umano è un verità pienamente cattolica: sarebbe alienante accettare qualcosa per una imposizione esterna che non trova in noi una adeguata corrispondenza. Ma per il cattolicesimo la soggettività umana non è esaurientemente comprensibile al soggetto stesso, non è una "scatola chiusa" illuminata a giorno dai riflettori abbaglianti di una ragione o di un sentimento presunti onnipotenti: ognuno è mistero a sé stesso, e per capire ad amare davvero me stesso devo aprirmi a una misura più grande di me. In Lutero c'è, a dire il vero l'idea di una misura più grande di me (Dio, Cristo), ma essa, non avendo nessuna forma oggettiva e visibile, è lasciata in balia della mia soggettività. Elenchiamo alcuni punti che esemplificano questo straripamento della soggettività.

1. Soggettivistico è in effetti il modo con cui Lutero pone il problema che più gli pesava, e in virtù del quale, profondamente, si prepara la rottura con la Chiesa, ossia il problema della salvezza: come può l'uomo, peccatore, salvarsi? La Chiesa diceva: in virtù della grazia e dei meriti di Gesù Cristo e delle opere buone, frutto della cooperazione della volontà umana alla grazia. A Lutero tale risposta non andava bene: se all'uomo è chiesto di essere buono, di operare il bene, allora siamo inevitabilmente spacciati, poiché tale e tanto è il nostro male ("la concupiscenza è invincibile", anche dopo il battesimo), da rendere inesorabile la condanna eterna. Dov'è il soggettivismo di questa impostazione? Nel fatto che lo sguardo è tutto sul soggetto: Lutero non guarda gioiosamente stupito all'imprevedibile novità di Cristo che vuole il suo bene, ma alla sua incapacità di essere coerente. Un atteggiamento ben diverso dal "sì" di Pietro, che pur cosciente del suo peccato, è tutto incentrato sulla Persona che ha davanti.

2. Soggettivistica è la sua soluzione a tale problema: non le opere, ma la fede salva (sola fides). Infatti tale tesi suppone una "impermeabilità" del soggetto umano all'oggettività della grazia. Perché non posso operare il bene? Perché mi fondo sulle mie sole forze, perché niente può permeare la mia soggettività decaduta in seguito al peccato originale e irrimediabilmente chiusa nella sua peccaminosa corruzione, che ne altera tanto la conoscenza quanto la volontà. Non raggiungibile da una grazia che permei la mia umanità, posso solo sperare in una Misericordia che non risani ma ricopra il mio male.

3. Nessuna oggettività poi dovrà più disturbare una tale autocentrica soggettività: il rapporto con Dio, con Cristo, poggia ora sulla interiorità. Così la Bibbia non dovrà più essere letta "dentro" la Chiesa e il suo Magistero, ma ognuno la interpreterà individualmente (libero esame). Così i sacramenti che erano espressione visibile della mediazione ecclesiale tra l'individuo e Cristo, sono ora svuotati del loro senso, in particolare l'Eucarestia, segno della presenza visibile di Cristo, è ridotta al ricordo (vago e inincidente) dell'Ultima Cena (il pane e il vino non si trasformano nel Corpo e nel Sangue del Signore).

Certo, sarebbe riduttivo esaurire tutto il luteranesimo in questi rapidi tratteggi. Tuttavia è indubbio che non si può capire tale fenomeno senza tener conto di tale impalcatura di opzioni essenziali.